(lettera
pubblicata su Italians
in data 16 dicembre 2009)
Caro
Beppe, come sai, perché a Pechino ci sei stato e ci
conosci, il controllo su tutto quanto facciamo è sempre
vivo e attento. Ne sono consapevole da sempre, per cui non
mi sarei dovuta stupire quando, la settimana scorsa, ho ricevuto
dalla polizia di quartiere una telefonata che iniziava così:
Tu hai una cara amica, XY, per poi continuare
con domande molto precise su di lei, dato che non riuscivano
a contattarla direttamente. Siamo amiche, è vero, ma
non ha mai vissuto con me, non siamo mai andate in polizia
insieme, non abbiamo mai fatto viaggi insieme. Teoricamente,
dunque, la nostra amicizia non dovrebbe avere lasciato tracce
fisiche di cui la polizia potrebbe essere al corrente.
I miei vicini lavranno vista andare e venire, ma teoricamente
non dovrebbero nemmeno sapere come si chiama. Teoricamente,
appunto. Ieri sera però mi sono accorta che questo
tipo di controllo mi dà molto meno fastidio di quello
più subdolo e molto più preoccupante esercitato
sulla mente dei cinesi comuni. Giuseppe Tornatore è
qui a Pechino per linaugurazione del Festival
del cinema italiano: da Venezia a Pechino; ieri ha presentato
Baarìa a un pubblico misto italiano e cinese.
Il film è piaciuto. Quello che personalmente non mi
è piaciuto è stato notare lautocensura
tra i cinesi. Un signore si alza, dopo i complimenti al regista,
formula in cinese il suo commento, una curiosità, che
a me è sembrata senza alcuna vena polemica: In
un momento del film Peppino, il protagonista, dice che i comunisti
non mangiano i bambini, anche se molti lo sostengono. È
interessante vedere che le affermazioni fatte da Berlusconi
qualche anno fa fanno riferimento a dicerie di molti anni
prima. Svariate voci si levano in sala No politics!,
e linterprete, spinto dal pubblico cinese, decide di
non tradurre la domanda. Spero che Tornatore abbia insistito
per avere la traduzione dopo la fine del dibattito, io lavrei
preteso. E come interprete, avrei tradotto. Ma non sono cinese.
Buone feste.
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